Nel forno Settecroste di Galatina, in Salento, largo spazio alla tradizione. Un ingrediente, non molto segreto, che porta Cirolla ad aggiudicarsi il premio Panettiere Emergente nella guida Pane e Panettieri d’Italia 2025
Due anni di progettazione e un sogno realizzato, quello del panettiere Andrea Cirolla che porta, a Galatina (Salento, Lecce), la sua Settecroste: una piccola bottega nel centro della cittadina, dove tre giorni a settimana offre ai suoi clienti un pane ottenuto con farine nobili, lievitato con pasta madre. Una grande fatica che però lo porta a raccogliere i primi frutti e a ottenere un importante riconoscimento da una delle guide più accreditate in Italia e nel mondo.
In questa intervista, Andrea racconta come nasce il suo progetto, guidato da un’esperienza lavorativa al fianco di grandi maestri della lievitazione.
Andrea, ci parli un po’ di lei. Dal Nord al Sud Italia per amore, ma portandosi in valigia la sua più grande passione, quella per la panetteria. Come nasce Settecroste?
Settecroste nasce nel 2021 dopo circa due anni di progettazione. Ho aperto il mio forno dopo una decina d’anni di esperienza in altri laboratori, a Milano e dintorni. Le esperienze più significative sono state quelle a fianco di Silvia Cancellieri e Vasile Rotaru in Cascina Sant’Alberto, poi quella con Davide Longoni a Milano. In mezzo, l’incontro con Eugenio Pol – prima con il suo Pane, assaggiato al ristorante Ratanà di Milano, poi con lui personalmente – che mi ha tolto ogni dubbio sul fatto che fare il Pane sarebbe stato il mio mestiere.
Perché Settecroste?
Il nome Settecroste, il «pane dalle sette croste», viene da un libro di Matvejević, Pane nostro (Garzanti, 2015). È un Pane che Matvejević lega ai destini degli ultimi. Leggo: «Molti sono i destini, collettivi e singoli, che dipendevano e dipendono dal pane, in vari modi e in diversa misura. Ma alcuni esseri umani hanno forse patito più degli altri: i santi, gli eremiti e i monaci, gli anacoreti, i pellegrini, i marinai e i carcerati, i mendicanti e gli zingari, i poveri. Per tutti costoro il pane dalle sette croste è stato il ristoro del corpo e il sostegno dell’anima». Sette croste come sette vite: il Pane deve durare molto. Il Pane nasce da una dialettica tra visibile – gli elementi primari, cioè l’acqua che idrata la farina che viene dal grano che cresce in terra, l’aria di cui si gonfia in lievitazione, il fuoco che lo cuoce – e invisibile – i microrganismi che caratterizzano la pasta madre e ne orchestrano la maturazione, dunque lieviti selvaggi e batteri buoni, in prevalenza lattici. Quando lo mangiamo, allo stesso modo, deve sfamare la parte materiale di noi – il corpo – ma anche quella immateriale – l’anima, lo spirito o come vogliamo chiamarla.
Il sette è un numero fortemente simbolico (nella religione cristiana simboleggia la nascita, per la cultura cinese ha un valore di crescita): lei è superstizioso?
No, per niente. Sono piuttosto razionale. Ad ogni modo, il sette è un numero che mi è sempre piaciuto e che da sempre accompagna la storia, o meglio la cultura, dell’umanità.
I suoi colleghi offrono pane fresco ogni giorno, sei giorni su sette. Lei ha scelto di ridurre i giorni di apertura a tre, dedicando il restante all’arte della panificazione: quali vantaggi ne ha tratto?
La scelta di aprire tre giorni a settimana ha due ragioni. La prima è di ordine organizzativo: lavorando da solo, e dovendo realizzare un cospicuo numero di prodotti confezionati oltre al pane, per aprire tutti i giorni dovrei rinunciare al sonno, e già così, alternando giorni di produzione e giorni di cotture e vendita, lavoro una media di ottanta ore settimanali… La seconda ragione è che storicamente il Pane, quello vero, non si è mai fatto tutti i giorni. Il Pane deve durare. Deve essere di grande formato e con pasta madre nostrana. Dal mio punto di vista, tre sfornate a settimana sono fin troppo, ne basterebbero due se non una soltanto. Vantaggi, questa scelta, non so se me ne ha portati: le cattive abitudini introdotte dal capitalismo sono dure da sfatare; ma direi che sul lungo termine questa scelta mi ha consentito di far passare il messaggio che le ho appena riassunto – del resto la/il cliente che passa da me il martedì difficilmente sente il bisogno di comprare altro Pane il giorno dopo, e conviene sul fatto che il Pane rimane buono per una settimana.
Qual è il pane preferito dai suoi clienti?
Il Pane che vendo di più è il Settecroste, appunto, dove miscelo grani duri (Senatore Cappelli), Monococco, farri (Dicocco, Spelta) e varietà storiche di frumento (Frassineto, Verna, Maiorca, Autonomia, Gamba di Ferro, Gentilrosso), il tutto macinato a pietra. È ispirato alla Micca di Montagna di Eugenio Pol, mio maestro e carissimo amico. Molto amati sono poi i pani conditi, ad esempio il Pan Tranvaj (con uvetta) e il Panfrutto (con frutta secca mista in proporzione doppia rispetto alla farina di segale alla sua base).
Crede che il suo modello imprenditoriale possa essere di esempio per la nuova generazione di panettieri?
Francamente, non so. Credo che l’orientamento generale conduca da altre parti. Basta aprire Instagram per farsi un’idea. Si pensa ai concept, alle formule, ai modelli – poco alla sostanza. Ora c’è la moda degli sfogliati, che più barocchi sono meglio è, moda che si affianca a quella del Pane superalveolato. C’è una sorta di regressione e spesso, anzi, si fanno cose ben peggiori della generazione che ci ha preceduto e che il movimento di cui faccio parte (PAU: Panificatori Agricoli Urbani) ha cercato e cerca di superare. Si usano farine ipertecniche e senza tracciabilità, ricomposte dall’industria molitoria e alimentare in genere, pur di realizzare pani e sfogliati che vengano bene in foto. C’è bisogno invece di responsabilità. Per quanto mi riguarda, il settore del cibo, della sua distribuzione e trasformazione, dovrebbe avere i livelli di controllo e di formazione che sono previsti nel settore sanitario, tante sono le contraffazioni alimentari che, a norma di legge, avvelenano i consumatori.
Gambero Rosso l’ha premiata come Panettiere Emergente nella guida Pane e Panettieri d’Italia 2025: cosa si sente di dire a proposito di questo importante riconoscimento ottenuto?
Il Gambero Rosso, con la sua Guida ai Pani e Panettieri d’Italia, svolge un grande lavoro, puntando i riflettori in particolare su forni dove la ricerca della materia prima e il rispetto della filiera sono in primo piano. Proprio il Pane è emblematico rispetto al tema della contraffazione. Su dieci forni convenzionali, senza parlare della gdo, più della metà, per essere ottimisti, panifica con miscele, se va bene, oppure con semilavorati, senza un’idea di biodiversità cerealicola, senza un’idea della provenienza di quella materia prima, e non tanto in senso geografico, quanto di metodi agricoli. Il Pane, elemento primario della dieta mediterranea, dal Dopoguerra a oggi ha finito non più per nutrire ma per avvelenare, per questo forse il suo consumo è calato tanto: oltre che insalubre, il “pane convenzionale” è anche cattivo. C’è da dire grazie a testate come il Gambero Rosso, perché sostiene e dà visibilità ad artigiani che lottano contro i mulini a vento per ristabilire la verità del cibo.
In copertina, Andrea Cirolla ritratto da Lorenzo Chiarelli.