Ritratto inedito di The Queen, Sua Maestà, Regina Elisabetta II
La Regina Elisabetta II ha governato durante l’espansione tecnologica ed i cambiamenti sociopolitici più rapidi che il mondo abbia visto. La valutazione per i suoi settant’anni di regno spetta alla Storia, ma di certo possiamo affermare che ha toccato con mano molti degli eventi che hanno lasciato un profondo segno nel corso del ventesimo e ventunesimo secolo.
Non è mia intenzione scrivere un articolo stucchevole su una donna che aveva tante doti. Certo, non si poteva definire leziosa o sdolcinata, ma pragmatica sì, lo era, eccome.
Il senso del dovere l’aveva appreso dai genitori, Re Giorgio VI e la Regina consorte Elisabetta, l’inossidabile Regina Madre.
Due sovrani “controvoglia”, saliti al trono nel 1936 a causa di un’abdicazione che fu un fulmine a ciel sereno, e che diedero il meglio negli anni più difficili della storia, quelli Seconda Guerra Mondiale.
Anni passati senza privilegi, con la famiglia reale che si atteneva alle razioni di cibo date ai londinesi, con le vasche da bagno riempite solo di 5 pollici di acqua (13 centimetri). Tempi in cui era permessa una sola lampadina per stanza, non c’era riscaldamento e, dopo i bombardamenti, mancavano i vetri nelle stanze da letto.
Mrs. Eleanor Roosevelt, ospite nel 1943 a Buckingham Palace, rimase fortemente colpita dalle ristrettezze del menù e dalla vita spartana.
Quando suggerirono di allontanare le principesse Elisabeth e Margareth, ed inviarle in Canada per motivi di sicurezza, la Regina rispose “Le ragazze non partono senza di me, io non abbandono il re e il re certamente non parte”.
Come molti bambini cresciuti durante la guerra Elisabetta passò dall’infanzia all’età adulta, e alle responsabilità del suo ruolo, senza vivere l’adolescenza.
Forse l’unica distrazione l’ebbe nel febbraio del 1945, quando trascorse cinque mesi nel Servizio Ausiliare, addestrata come autista e meccanico, sviluppando una passione per i motori che l’accompagnò per il resto della vita.
L’amore per Filippo di Grecia e Danimarca
Un solo uomo, Filippo di Grecia e Danimarca, e un legame durato ottantadue anni. Anche in questo caso è stato scritto di tutto su di lui, su di loro e sulla loro unione.
Elisabetta lo scelse nel 1939 e non cambiò mai idea sul quel principe a tratti stravagante, dai modi schietti, spesso irriverenti e fuori dalle righe, insofferente a un protocollo di corte al quale si attenne sempre per dovere e per amore.
Era un uomo d’onore e il giorno del matrimonio aveva preso il solenne impegno di “non deludere mai” sua moglie: una promessa che ha mantenuto per tutta la vita.
Per decenni la stampa gli ha affibbiato innumerevoli liason con attrici, nobildonne, collaboratrici della sovrana e, dulcis in fundo, con la consuocera e madre di Sarah Ferguson.
Eppure, nonostante le ricerche meticolose dei giornalisti, non è mai emersa una sola prova di tutte queste relazioni.
In ogni caso, niente accadeva intorno a Elisabetta senza che lei lo sapesse, e pensare che Filippo abbia potuto impunemente corteggiare le mogli dei suoi collaboratori più stretti, o la madre della sposa di suo figlio, è semplicemente ridicolo.
Pragmaticamente la Regina diceva che i mariti non vanno mai chiusi in un recinto se si vuole salvare il proprio matrimonio. Oggi è una frase “politicamente scorretta”, ma una volta che la passione si esaurisce cosa tiene cementata per settantaquattro anni un’unione? Mi viene da pensare il rispetto reciproco e la certezza di un punto di riferimento solido e sicuro fra le mille intemperie della vita.
Quanto il protocollo obbliga un marito a camminare tre passi dietro la moglie, per quanto strano possa sembrare, alla fine le loro ombre si fondono e si finisce per camminare insieme.
Elisabetta e Diana, un errore di valutazione
Elisabetta e Diana Spencer: qui parliamo addirittura di oceani d’inchiostro.
La tragica morte di Diana e l’errata valutazione circa l’impatto enorme che ebbe sulla gente fu senza dubbio una grande svista da parte della Regina. Ma si trattò dell’ultimo di una catena di errori iniziati con la scelta di Diana come sposa per l’erede al trono.
Alla fine degli anni ’70 il Principe di Galles era un trentenne che doveva sposarsi e garantire una discendenza, per forza o per amore. I requisiti richiesti alla futura sposa erano essenzialmente tre: essere vergine – non per retaggi medievali quanto per evitare che la futura regina avesse un passato in cui la stampa potesse sguazzare – avere sangue aristocratico, meglio se di una famiglia legata alla corte – ed infine essere protestante.
Diana possedeva tutti i requisiti: non aveva un “vissuto” alle spalle, era figlia dell’ottavo Conte Spencer e nipote del terzo Duca di Abercorn, era protestante.
L’errore fu ritenere la timidezza e la fragilità della ragazza alla stregua di connotati giovanili destinati a sparire con il tempo.
Purtroppo erano i primi segni di una patologia ben più complessa: Diana era profondamente insicura, insofferente al rigido protocollo che il suo ruolo le imponeva, e soprattutto era alla ricerca spasmodica di affetto ed attenzioni (una caratteristica che la accompagnerà per tutta la vita).
In una intervista Diana definì il suo matrimonio “affollato”, riferendosi a Camilla. Vale la pena ricordare che la relazione fra Carlo e Camilla Shand (sposò Andrew Parker Bowles nel luglio 1973) si era interrotta nella primavera del 1973 per volere della Regina, che riteneva la donna non all’altezza per due motivi: aveva un “passato” e possedeva solo un quarto di sangue aristocratico.
Tuttavia per quasi vent’anni lei rimase una presenza costante nella vita del Principe di Galles.
La relazione vera e propria riprese quando emersero i due tradimenti di Diana: con Barry Mannakee, la sua guardia del corpo, e con James Hewitt, il suo istruttore di equitazione.
Elisabetta richiamò Carlo e Diana ai propri doveri di eredi al trono, ma ormai era tardi.
Nel 1994 James Hewitt consegnò al pubblico, dietro un lauto compenso, i retroscena della relazione con Diana nel libro “Princess in Love”.
Cosa accadde dopo è sin troppo noto e non è mia intenzione aggiungere altro.
Lady D è passata alla storia come “la Principessa del popolo”, semplice, fragile e innamorata, tradita dal marito e trattata con ostilità dalla famiglia reale: questa è la “verità” della carta stampata.
Un amico, Alessandro Casati, che conosce gli usi di corte, mi ha ricordato una delle massime che regolano la vita di una famiglia reale: “Obblighi e divieti sono le due guardie del corpo della Monarchia”.
Quando si decide di sposare un erede al trono il lasciapassare dei privilegi acquisiti è insito negli obblighi e nei divieti che questa scelta impone. Si smettono per sempre i panni di privati cittadini e si assumono quelli di personaggi pubblici.
Cercare affetto e attenzioni tra le guardie del corpo non fa parte di questi privilegi.
Elisabetta ed il “lavoro” di Regina.
“It is a job for life”.
Innanzitutto essere Regina è un lavoro a tempo pieno, salvo abdicare o morire.
I giorni sono scanditi da un agenda stilata con settimane o mesi d’anticipo sulla base degli impegni ufficiali; la vita privata passa sempre in secondo piano rispetto a quella istituzionale.
L’intera esistenza di una sovrana è costantemente sottoposta al giudizio della stampa e dell’opinione pubblica. Ogni gesto e parola sono soppesati e analizzati, quindi non può esternare la sua opinione su un qualsivoglia argomento, che sia politico, etico o sociale, nazionale o estero.
Il destino le ha affidato il compito di regnare, non di governare: incarna l’espressione stessa della nazione, non di un partito né di un ideologia.
Viaggia, gira il mondo, ma sempre per doveri legati allo status di regnante. Che si tratti di pochi giorni o di settimane è l’agenda e non la sovrana a dettare gli impegni. Ovviamente si muove divisa dalla famiglia: la linea di successione va tutelata, per cui aerei separati per evitare spiacevoli disagi tecnici o terroristici.
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Sua Maestà la Regina Elisabetta II e la moda
Una regina ha diritto di essere alla moda, l’importante è che sia di manifattura nazionale. Tutto ciò che indossa è passato al setaccio dalla stampa e soprattutto dalle signore. Questo comporta creare uno stile che sia gradevole, senza eccessi, imitabile e, di tanto in tanto, reperibile nei grandi magazzini. Gli outfit vistosi mal si addico alla corona ed è meglio che restino confinati ad Hollywood.
I colori e i copricapi no, quelli sono utilissimi, soprattutto per renderla ben visibile ai servizi di sicurezza.
Gli obblighi della Regina
Una sovrana impara a dosare le pochissime lacrime che le sono concesse ed i moltissimi sorrisi che deve offrire. Gioie e dolori sono questioni di ordine pubblico prima ancora che affari privati.
Nei momenti di felicità il popolo esulta insieme ad una sovrana radiosa, ma nei momenti di tristezza ci si aspetta il contegno e la solidità di chi si offre come un porto sicuro in un mare in tempesta.
Una regina sa bene che nei momenti di crisi la prima cosa che un popolo critica sono le uscite per mantenere una famiglia reale. Questo significa trasformare la propria famiglia in una “ditta” che renda allo stato molto più di quanto costi: la monarchia è un istituzione nazionale, ma se non apporta benefici è inutile.
Nel caso della Royal Family il rapporto fra uscite ed entrate si attesta a 1/7: in parole povere per ogni sterlina spesa ne ritornano sette nelle casse dello stato.
“The wartime generation – my generation – is resilient”.
(H.M. The Queen Elizabeth II).
Resilienza (s. f.): la capacità dell’individuo di adattarsi in maniera positiva ad una condizione negativa e traumatica.
…e resiliente Elisabetta lo era di certo. In settant’anni di regno ha vissuto e attraversato scandali e disgrazie che avrebbero spezzato chiunque.
Eppure è riuscita a restare sempre al timone, traghettando nel Ventunesimo secolo una famiglia complicata.
Criticata e acclamata, amata e disprezzata a seconda delle mode e degli eventi, ha saputo adeguare la propria immagine senza tradire né se stessa né il suo ruolo.
Con lungimiranza ha programmato lo sviluppo della monarchia, ed oggi, con le sue homepage e gli account social la Royal Family è un marchio mondiale che si attesta fra i maggiori “prodotti” inglesi.
“Vale la pena ricordare che spesso sono i piccoli passi, non i salti da gigante, che determinano il cambiamento più duraturo”.
Ritengo che questa frase racchiuda in sé l’eredità politica e storica di Elisabetta II.
La storia stessa insegna che i grandi balzi in avanti, invocati come portatori di radicali cambiamenti, il più delle volte hanno condotto a cadute rovinose.
Che il vero segreto sia procedere con calma, passo dopo passo, verso gli obbiettivi che si hanno ben fissi nella mente?
“Non conosco una formula per il successo. Ma col passare degli anni ho potuto notare che alcune capacità di leadership sono universali e spesso hanno a che fare con l’incoraggiare le persone a mettere a frutto il loro talento, il loro entusiasmo e la loro ispirazione per lavorare insieme”.
Tutto sommato il segreto del successo, nella vita, è fare della propria vocazione il proprio divertimento, e sospetto che Elisabetta II ci sia riuscita.
Qui il link ad un interessante articolo sul valore economico della Royal Family.