L’italian lifestyle fa breccia al turismo americano
La storia che lega il turismo americano all’Italia ha radici profonde. Il mito del Belpaese, terra di sole, arte, storia e buona tavola, nasce durante gli anni ’20 del Novecento, si afferma negli anni ’30, risorge dalle proprie ceneri all’inizio degli anni ’50 ed esplode durante la Dolce Vita, quando l’Italian way of Life diviene sinonimo di eleganza, stile e creatività.
Per capire la passione, vorrei dire l’amore quasi incondizionato che unisce gli americani all’Italia, serve una premessa e un salto indietro nel tempo, all’ultimo decennio della Belle Époque, appena prima della Grande Guerra.
La migrazione italiana per gli Stati Uniti D’America
Fra il 1900 ed il 1914 oltre quattro milioni di connazionali presero la strada per le Americhe: si fuggiva dalla fame, dalla miseria e dalla mancanza di prospettive.
Dai porti di Genova e Napoli orde di disperati si imbarcavano sui grandi piroscafi inglesi e tedeschi diretti verso “Nuova York”, o sui piccoli piroscafi italiani diretti verso il Brasile e l’Argentina.
Si fa rotta per il Sud America
La Conferenza del Mediterraneo (Firenze, 1906), indetta dai grandi armatori europei, aveva assegnato i cinque sesti del traffico migratorio diretto dal Mediterraneo al Nord America alle compagnie britanniche e tedesche: pertanto gli interessi delle compagnie italiane si erano concentrati verso il Sud America.
Le navi più lussuose facevano rotta per Rio de Janeiro, Santos e Buenos Aires. In prima classe pochi facoltosi passeggeri, in seconda piccoli imprenditori ed in terza migliaia di emigranti stipati nei cameroni.
Le unità italiane sulle rotte per il Nord America erano invece piccole, lente e indirizzate quasi esclusivamente a trasportare chi cercava una nuova vita.
Gli americani in viaggio per il Mediterraneo
La ricca clientela americana diretta verso il Mediterraneo viaggiava a bordo dei lussuosi transatlantici della Cunard, della White Star e dell’Hamburg-Amerika.
A quell’epoca la “season” dell’alta società andava da ottobre a fine aprile. Durante questo periodo si concentravano tutti gli eventi mondani: i debutti in società, i grandi balli e le premiere teatrali.
In estate si preferiva lasciare la calura cittadina e dedicarsi all’ozio ed agli svaghi nelle tenute di campagna.
Di conseguenza in inverno i ricchi americani attraversavano l’Atlantico, “migrando” verso Londra, Parigi, Nizza, Montecarlo, Capri e Taormina.
Come falene attratte dalla luce le grandi famiglie americane, quali Astor, Vanderbilt, Whitney e Widener, cercavano quello che la madre patria non offriva: i raffinati riti che ruotavano attorno ad un mondo antico e il fascino di civiltà plurisecolari.
La Prima Guerra Mondiale cambia i giochi
Con la Prima Guerra Mondiale cambiò tutto: gli imperi di Austria e Germania crollarono, la rivoluzione travolse la Russia e i Romanov, il mito degli “inglesi primi in tutto” iniziò a scricchiolare, mentre il resto del vecchio continente si ritrovò a leccarsi profonde ferite.
Dall’altra parte dell’Atlantico, grazie agli sforzi dell’industria bellica, l’economia americana aveva preso il volo e in pochi anni la classe media crebbe a dismisura, così come crebbe paurosamente il numero dei nuovi milionari.
Al ritmo della musica jazz e del charleston iniziarono i Ruggenti Anni Venti, destinati a cambiare per sempre lo stile di vita occidentale.
Gli uomini e le donne scoprirono i piaceri degli sport all’aria aperta, delle vacanze al mare e dell’abbronzatura. Tutte cose quasi impensabili solo alcuni anni prima, soprattutto per le donne. L’abbronzatura, ad esempio, era considerata “volgare” e da contadine.
Migliaia di soldati americani avevano combattuto in Europa durante gli anni della guerra ed ora, a pace raggiunta, desideravano tornarci e riscoprirla.
Il 1921 fu un anno epocale per le compagnie di navigazione: il governo degli Stati Uniti promulgò il “Quote Act”, limitando fortemente il rilascio dei permessi di permanenza agli emigranti.
La crisi del turismo in Italia
Per l’Italia la nuova quota era di sole 40mila persone all’anno. Tre anni dopo, con un ulteriore giro di vite, la quota scese a 4mila. La stessa cosa, ovviamente con percentuali diverse, valse anche per altre nazioni europee.
Improvvisamente le navi passeggeri costruite prima del 1920 e pensate per trasportare in terza classe duemila o più persone, si ritrovarono a corto della loro fonte principale di guadagno: gli emigranti.
Il turista
L’economia insegna che quando scompare una fonte di reddito inesorabilmente ne appare una nuova: in questo caso rappresentata dal “turista”.
Era una nuova categoria di passeggeri che sceglievano di viaggiare per piacere e, pur non potendo permettersi la prima classe, voleva essere ospitati in cabine confortevoli, con sale di ritrovo curate e spazi all’aperto adeguati.
Le società di navigazione italiane, che prima della guerra non avevano mai pesato né brillato sulla linea per New York, colsero la palla al balzo e iniziarono una scalata irrefrenabile che in pochi anni le portò ad essere protagoniste di innovazioni e record entrati nella storia.
Le compagnie erano tre, acerrime rivali, con dieci transatlantici impegnati in una lotta senza esclusione di colpi.
La Navigazione Generale Italiana omaggia la storia del Bel Paese
La potentissima “Navigazione Generale Italiana”, controllata dalla Banca Commerciale Italiana, mise in servizio due coppie di navi: Giulio Cesare (1922) e Duilio (1923), Roma (1926) e Augustus (1927).
Il “Lloyd Sabaudo”, finanziato dal ramo Savoia-Aosta della famiglia reale, varò i “Quattro Conti”: Conte Rosso (1922) e Conte Verde (1923), Conte Biancamano (1925) e Conte Grande (1928).
Infine, con l’asburgica Trieste divenuta italiana, la “Cosulich Line” fece la sua comparsa sulla scena con due avveniristiche motonavi: Saturnia (1927) e Vulcania (1928).
In sei anni e mezzo questi dieci “palazzi galleggianti” trasformarono la rotta migratoria del Mediterraneo nella piacevolissima e raffinatissima “Sunny Southern Route”.
A differenza della concorrenza estera, che puntava sulle dimensioni e la velocità delle proprie navi, le società italiane puntarono sulla piacevolezza del viaggio.
La rotta settentrionale che collegava il Nord Europa a New York era soggetta a nebbia, mare mosso e cattivo tempo per quasi tutto l’anno: motivo per cui il viaggio si svolgeva principalmente al chiuso delle sale e delle passeggiate coperte.
Per contro la rotta meridionale offriva quasi sempre un clima mite e una navigazione tranquilla, anche in inverno. Era più lunga, ma il “difetto” dei due o tre giorni di viaggio in più fu trasformato in un punto di forza: in un’epoca che andava scoprendo i piaceri degli sport e della vita all’aria aperta le navi italiane offrivano verande soleggiate, ponti assolati e freschissime piscine.
E’ guerra aperta tra le compagnie di navigazione italiane
La battaglia fra le tre compagnie nazionali fu combattuta utilizzando armi decisamente “italianissime”: la stravaganza e il lusso degli arredi, la signorilità e la calda accoglienza del personale, una cucina superlativa e quel modo di fare tipicamente italiano che in breve affascinò il pubblico americano.
Da sempre superare l’esame alla prima impressione è una delle chiavi del successo: infatti i passeggeri, appena messo il piede a bordo, “misuravano” subito la nave in base al lusso.
Italian Style: lusso firmato Studio Ducrot e Studio Coppedè
“Italians Do It Better”: gli italiani lo fanno meglio.
Parlo dell’arredo navale.
Per la disfida alla più aulica cornice dorata e al migliore orpello furono ingaggiati i due massimi protagonisti dell’arredamento italiano dell’epoca: lo Studio Ducrot e lo Studio Coppedè.
La Navigazione Generale Italiana si affidò al primo, che aveva al suo attivo gli arredi di Palazzo Montecitorio e del Grand Hotel Villa Igiea di Palermo e vantava collaborazioni con celebri artisti, fra cui Ernesto Basile e Galileo Chini.
Il Lloyd Sabaudo e la Cosulich scelsero i Coppedè, fra i massimi interpreti del fantasioso stile eclettico, con al loro attivo il Castello Mckenzie a Genova, Castello Cova a Milano e il celeberrimo Quartiere Coppedè a Roma.
I risultati di queste scelte furono diversissimi, ma entrambi centrarono in pieno gli obbiettivi.
Lo Studio Ducrot
A bordo dei quattro “liners” della N.G.I. lo Studio Ducrot arredò i saloni ad imitazione dei grandi palazzi principeschi italiani, con un profluvio di stili classici (Luigi XIV e Luigi XV, Impero, Regency, Direttorio, etc). Cornici e controcornici, soffitti affrescati, lampadari in cristallo, marmi, boiserie e tappeti in seta accompagnavano i passeggeri in una carrellata attraverso la storia italiana.
A bordo dell’Augustus le rilassanti delizie della vita balneare erano incorniciate dalla grande novità mondiale: la prima piscina all’aperto completa di lido. Rivestita di finissime maioliche, con tanto di fontana a mosaico e pergolato con lampade floreali in bronzo, divenne un’attrazione graditissima al pubblico americano.
Sembra che le ereditiere impazzissero per i camerieri vestiti da gondolieri, con tanto di vezzosi fiocchi, intenti a servire cocktail in guanti bianchi, mentre camminavano sulla sabbia che, imitando le spiagge della Riviera, copriva tutto il lido.
Il design firmato Coppodè
Ben differente la scelta dei Coppedè a bordo dei quattro Conti e delle due ammiraglie della Cosulich.
Religiosamente devoti alla massima “meglio eccedere in tutto che risparmiarsi in qualcosa” diedero libero sfogo alla fantasia più sfrenata.
Nessuno stile fu trascurato, soprattutto quelli più improbabili: dall’etrusco all’azteco, dal siamese all’egiziano, passando per l’India dei Maharaja, per la Persia e la Cina dei Ming. Furono tutti frullati fra loro ottenendo qualcosa che andava oltre il kitsch, al punto che i cronisti dell’epoca non seppero definire quello che si palesava ai loro occhi.
L’acme di questo virtuosismo fu raggiunto a bordo del Conte Grande, giustamente passato alla storia come la nave più decorata che abbia mai solcato i mari.
Mi piace pensare agli interni del Conte Grande come una sorta di Las Vegas ante litteram: un luogo dove le normali regole di buongusto si prendevano una vacanza, lasciando il posto a quel senso di meraviglia e stupore infantile che ti colpisce, ti travolge e ti stordisce.
Gli americani scoprono un oggetto “peccaminoso” nei bagni delle navi italiani
Sul finire degli Anni ’20 i transatlantici italiani si erano ormai affermati come una valida alternativa alle navi inglesi, contendendosi con le rivali dei cugini d’oltralpe il podio delle “migliori navi su cui ben viaggiare”.
Del resto le ammiraglie inglesi, per quanto fossero ancora fra le più grandi al mondo, erano datate poiché risalivano a prima del 1914. In più soffrivano la carenza di stanze da bagno private anche in prima classe. Vale la pena ricordare che sulle navi inglesi il rapporto fra il numero di bagni e quello dei passeggeri di prima classe era di uno a sei, mentre a bordo di quelle italiane era di uno a tre.
Inoltre i bagni delle nostre navi erano forniti di uno strano e peccaminoso oggetto che molti americani avevano scoperto durante la guerra frequentando i bordelli italiani e francesi: il bidet.
Le star internazionali scelgono le ammiraglie italiane
Sulle nostre ammiraglie viaggiava un mondo variegato e piuttosto colorito, composto da star di Hollywood e Broadway avvolte in rasi neri e piume di struzzo, immancabili ereditiere con terzo o quarto marito al seguito, esponenti delle storiche famiglie della East Coast pieni di sé e “nouveau riche” del Midwest affamati di cultura e buone maniere europee, principesse americane fresche di titolo con italianissimi nobiluomini al seguito, e via discorrendo.
Era una società effervescente, drogata da una crescita economica che pareva senza fine, che si stordiva al ritmo del charleston e dei superalcoolici. Infatti sulle nostre navi i bar erano il “refugium peccatorum” per gli americani a secco a causa del Proibizionismo, ed i barman erano come angeli scesi dal cielo a portare sollievo agli assetati.
Forse per questi motivi i Coppedè, volendo unire l’utile al dilettevole, a bordo del Saturnia pensarono che un cocktail-bar affacciato sulla piscina coperta potesse avere una sua utilità; e già che c’erano misero pure un palchetto per l’orchestra. I “Bagni Romani”, allestiti mescolando con estrema inventiva il gusto della Roma imperiale con lo stile Pompeiano, divennero la scenografia per feste notturne che ineluttabilmente terminavano con un tuffo collettivo in abiti da sera.
La Grande Depressione, il baratro
Il 29 ottobre 1929 crolla Wall Street, trascinando nel baratro prima l’economia americana e poi quella mondiale: inizia così la Grande Depressione.
In Germania il ritiro dei prestiti di guerra americani portò in breve al collasso della traballante Repubblica di Weimar, aprendo la via all’ascesa di Adolf Hitler.
L’Italia di Mussolini varò subito misure protezionistiche, il primo passo verso l’autarchia, al fine di evitare il tracollo del sistema finanziario.
Nel giro di un paio d’anni il traffico passeggeri sul Nord Atlantico crollò drasticamente, tanto che nel 1931 i passaggi si erano ridotti del 50%.
“Quando non si vede la luce in fondo al tunnel conviene iniziare ad arredarlo in vista di una lunga permanenza”.
Infatti tutte le compagnie ripiegarono su nuove strategie, in primis le crociere. D’altro canto, se il ceto medio era stato quasi polverizzato dalla crisi, i ricchi si erano ritrovati semplicemente meno ricchi, ma sempre tali restavano e le crociere erano il modo migliore per raggrupparli ed invogliarli a spendere qualche migliaio di dollari.
La reazione delle ammiraglie italiane
Augustus, Roma, Conte Grande, Saturnia e Vulcania iniziarono a proporre languidi itinerari nel Mediterraneo durante l’estate ed assolate mete esotiche nei Caraibi in inverno.
Curiosamente fu proprio la crisi economica a tenere a battesimo i progetti navali più arditi.
Nel dicembre del 1930 l’Inghilterra mise in cantiere la Queen Mary, destinata a prendere il mare nel 1936, mentre nel gennaio del 1931 la Francia avviò la costruzione del Normandie, che sarebbe entrato in servizio nel 1935.
Per portare a termine entrambi i progetti, dei super-transatlantici di oltre 80mila tonnellate, furono necessari enormi contributi governativi.
In Italia la politica fascista non voleva essere da meno, anche perché si rischiava di gettare alle ortiche un decennio di sforzi.
Flotta Italia – Società Riunite, lItalia cambia “rotta”
Nel 1930 la N.G.I. ed il Lloyd Sabaudo avevano impostato la costruzione di due grandi liners da 50mila tonnellate, abbastanza veloci per collegare Genova a New York in soli sei giorni e mezzo.
Visti i costi enormi e la crisi galoppante, per restare competitivi il governo costrinse le tre maggiori compagnie, da sempre rivali fra loro, a fondersi in una sola realtà, cosa che si concretizzò nel gennaio del 1932 con la nascita della Flotta Italia – Società Riunite.
La notizia che l’Italia, in piena depressione, stava per mettere in mare non una ma bensì due fra le navi più grandi, veloci e lussuose del mondo fece epoca, sollevando una enorme e spasmodica curiosità soprattutto negli Stati Uniti.
Rex e Conte di Savoia furono i nomi scelti per i due nuovi colossi della marina italiana. Concepiti da due compagnie rivali avevano in comune solo dimensioni e velocità, ma per il resto erano diversissimi fra loro.
Per il Rex la N.G.I. e il Cantiere Ansaldo di Genova si mantennero prudentemente nel solco della tradizione: linee esterne eleganti e slanciate ma scevre da un eccessiva modernità.
Gli interni firmati Ducrot erano sontuosi e solenni, regalando l’idea di una “nave palazzo”.
Trionfava il Settecento italiano, con marmi, damaschi ed arazzi: l’unica nota d’attualità era offerta dall’illuminazione indiretta dai soffitti, con gli impianti celati nelle cornici dei cassettoni.
Il Conte di Savoia, una nave moderna con tocco di Gustavo Pulitzer Finali
Per il Conte di Savoia il Lloyd Sabaudo e il Cantiere San Marco di Trieste scelsero coraggiosamente di rompere con i cliché, creando una nave completamente moderna: linee morbide e senza spigoli vivi, leggermente curvate come se fossero disegnate dal vento.
Gli interni, progettati da Gustavo Pulitzer Finali, erano di una modernità quasi sconcertante. Lo stile Razionalista si mescolava con il modernismo mitteleuropeo, creando spazi caratterizzati da legni esotici, metalli ludici, foglie d’oro e cuoio argentato, lacche e pergamene.
Sempre, quando si fa una scelta azzardata e controcorrente si è divorati da mille timori: andrà bene? Piacerà a tutti? E sei poi ci criticano che facciamo? Ecco, le stesse domande si fecero strada nella mente degli armatori del Conte di Savoia. Il timore che il pubblico rigettasse tutta questa modernità li portò ad una decisione controversa ma che, con il senno del poi, rese ancora più celebre la nave: affidare il salone delle feste allo Studio Coppedè.
Ora, lo stile di Pulitzer sta a quello dei Coppedè come un diabetico sta ad una torta sacher.
Il tocco di Adolfo Coppedè
Per nulla intimorito da questa sfida, Adolfo Coppedè piazzò alla fine dell’infilata delle sale razionaliste del collega triestino la copia pedissequa di uno dei più spettacolari ambienti barocchi romani: la Galleria Grande di Palazzo Colonna.
Il risultato finale, per quanto inconsueto e al limite della bizzarria, fece impazzire la clientela americana. Dopo aver attraversato gli ambienti ipermoderni si spalancavano le doppie porte e ai passeggeri appariva la visione di questo immenso salone rutilante di marmi barocchi, con tanto di affresco della Battaglia di Lepanto che svettava otto metri sopra le loro teste.
I punti di forza delle nuove navi ammiraglie italiane
Ciò che accumunava i due liners erano i ponti lido e la classe turistica. Le aree balneari, sia in prima che in turistica, offrivano una sequenza di vaste terrazze con piscine, spogliatoi, bar e ristoranti “à la carte”, palestre e centri benessere: in sostanza la cosa più vicina alle moderne navi da crociera, ma più eleganti e senza le file ai buffet.
Gli ambienti e gli alloggi in turistica erano estremamente curati, con raffinate sale, spaziose cabine, alcune dotate di bagni privati, verande e ampie passeggiate.
Altri punti di forza erano l’aria condizionata, presente nei saloni da pranzo e nelle cabine di lusso, gli appartamenti con terrazzi privati o verande bow-window e il garage con accesso diretto dal molo (vedere la propria Bugatti o Bentley ondeggiare appesa ai picchi di carico e calata poi nelle stive, come capitava sulle navi inglesi, non era mai rassicurante).
Inoltre il Conte di Savoia, per ovviare al mal di mare dei passeggeri, aveva installato tre giganteschi giroscopi stabilizzatori in grado di contenere il rollio della nave nel caso l’Atlantico avesse deciso di fare le bizze.
Il varo nell’autunno 1932
La loro entrata in servizio nell’autunno del 1932 rappresentò quasi l’apoteosi della nostra marina mercantile. Il massimo trionfo si ebbe nell’agosto del 1933 quando il Rex conquistò il Nastro Azzurro, il record per la traversata più veloce del Nord Atlantico.
In un decennio l’Italia era passata dai piccoli e lenti piroscafi per emigranti ai più lussuosi e innovativi transatlantici.
Certamente la rotta fra New York, Southampton e Le Havre era sempre di primaria importanza, in quanto “porta naturale” del Nord Europa; ma la rotta del Mediterraneo non era da meno.
Viaggiare a bordo del Rex o del Conte di Savoia era sinonimo di eleganza e stile. Non solo le grandi star del cinema – Gloria Swanson, James Stewart, Cary Grant e Joan Crawford – ma anche i Duchi di Windsor, i Roosevelt, Walt Disney, Arturo Toscanini e Luigi Pirandello erano clienti abituali delle due ammiraglie.
Nonostante le scelte politiche del regime fascista la passione della clientela americana per le nostre navi non venne mai disattesa. Solo dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali (settembre 1938) ci fu una leggera flessione sulla spinta dell’onda emotiva.
Le leggi antiebraiche: come si comportava il comandante della nave?
Curiosamente, per una delle tante “stranezze” tipiche dell’Italia, pochi giorni dopo l’approvazione delle leggi antiebraiche la Società Italia emise una disposizione che indicava come non valide queste leggi a bordo delle navi italiane. In più organizzò una rete tramite le proprie agenzie estere per favorire l’esodo degli ebrei dall’Europa centrale, indirizzandoli verso i porti di Trieste e Genova. Se migliaia di loro trovarono rifugio negli Stati Uniti, in Sud America e nell’Estremo Oriente lo si deve anche alle navi e agli equipaggi italiani che mostrarono un malcelato disprezzo verso quella follia.
Il primo settembre 1939 scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e l’Italia dichiarò inizialmente la propria neutralità. Con la sospensione dei servizi passeggeri in Nord Europa i nostri porti divennero l’unica via di fuga per migliaia di turisti americani rimasti bloccati e per coloro che cercavano disperatamente di sfuggire alla follia nazista. Per nove mesi le navi italiane fecero una spola incessante fra Genova, Trieste e New York, viaggiando in overbooking all’andata e quasi deserte al ritorno. Il 10 giugno del 1940 tutto ebbe fine: l’Italia entrò in guerra.
Le cene eleganti, i balli notturni attorno alle piscine e le feste in maschera furono spazzate vie dal fragore delle esplosioni e dalle grida disperate dei naufraghi.
La nostra marina mercantile pagò un tributo altissimo, perdendo oltre l’80% della flotta, comprese le due ammiraglie.
L’amore degli americani per l’Italia non cessa
A dispetto di tutto non venne mai meno l’amore degli americani per l’Italia e per la nostra “Italian Way of Life”.
Il dopoguerra vedrà infatti la nostra affermazione più clamorosa, e i nuovi liners sorti dalle ceneri della guerra saranno battezzati dalla stampa “The Renaissance Fleet”: la flotta del Rinascimento.
Ma ogni cosa a suo tempo.
Del resto l’Italia è quello strano paese in cui i miracoli sono reali, e le favole sono vere.