Kansai Yamamoto, iil Bauhaus e la moda avveniristica
Moda e arte, due discipline con una lunga storia d’intesa, si sono spesso trovate ad interfacciarsi, sotto la creatività di numerosi stilisti. Tra le collaborazioni più affascinanti, troviamo il connubio tra Kansai Yamamoto, storico costumista del cantante David Bowie e la scuola del Bauhaus.
Nella sua ricerca per la realizzazione di alcuni tra gli abiti di scena più belli di Bowie, Yamamoto prese la sua ispirazione proprio dal lavoro degli artisti del Bauhaus, attivi nell’arte molti anni prima di lui.
Nel 2016, il MAMbo (Museo D’Arte Moderna Bologna), ha ospitato come unica tappa Italiana, David Bowie Is, la prima retrospettiva incentrata sulla carriera di David Bowie e voluta dal Victoria and Albert Museum di Londra.
La mostra era suddivisa in tre settori che raccontavano in ordine cronologico il lavoro di Bowie, attraverso contenuti multimediali e oggetti e rivelandone anche le fonti che ispirarono la sua musica e le sue performance.
Nel terzo settore ci si addentrava nei retroscena degli spettacolari concerti dell’artista, dove video e audio delle canzoni erano accompagnati dall’esposizione di molti dei suoi abiti di scena.
Tutti gli abiti esposti avevano il potere di attirare l’attenzione, prima fra tutti l’iconica ed imponente tuta Tokyo Pop, la quale ha un vero e proprio potere magnetico.
Trovandosi difronte a questi abiti e potendoli osservare da vicino, è evidente come l’energia scenica di Bowie e la visionarietà di Yamamoto si siano fuse perfettamente all’audacia e all’innovazione, ancora attuale e all’avanguardia, del Bauhaus.
Il più avanguardistico, anche a distanza di un secolo, tra i principi fondanti del Bauhaus, è la concezione di contaminazione tra categorie di arti diverse.
Con l’integrazione in una singola opera, di ambiti differenti, l’arte viene vissuta a tutto tondo.
L’interesse degli stilisti per il Bauhaus
A distanza di 100 anni (compiuti nel 2019), la scuola del Bauhaus continua ad influenzare e ad ispirare tutti i settori del design moderno, facendo sentire la sua voce anche nel mondo della moda.
Nel primi decenni del XX secolo, lo sviluppo della produzione industriale e il conseguente consumismo, avevano modificato il rapporto tra l’uomo e i suoi oggetti, che si fece freddo e distaccato.
Nel 1919 Walter Gropius trovò una soluzione per restituire un’anima a questi oggetti, ai quali la produzione in serie l’aveva sottratta; avrebbe formato nuovi progettisti-artigiani in grado di occuparsi sia dell’aspetto estetico che di quello funzionale, caricando di bellezza anche gli oggetti di uso comune.
Fondò quindi la sua scuola di design, con il nome di Bauhaus, che doveva ospitare tutte le discipline artistiche e le discipline artigianali, rivoluzionando per sempre il settore della progettazione industriale.
Il Bauhaus nacque dalla fusione tra l’Accademia di Belle Arti e l’Accademia delle Arti Applicate di Henry Van de Velde, permettendo al suo direttore di fondere sotto uno stesso tetto il sapere delle tecniche manuali con la creatività.
L’obiettivo del movimento di dare una traccia di umanità ad oggetti ed edifici, eliminando la distanza tra funzionalità e bellezza, venne enunciato nel manifesto del 1919 che includeva i principi fondamentali del movimento. Questi principi erano: nessun confine tra arte e artigianato; la competenza tecnica e manuale è fondamentale per un artista; la funzionalità dell’oggetto o dell’edificio doveva essere accompagnato da linee eleganti ed essenziali; basarsi sul concetto di gesamtkunstwerk (opera d’arte completa), dove ogni dettaglio del progetto va curato come un’opera a sé, fondendo insieme molteplici forme d’arte; importanza assoluta nell’utilizzo di qualsiasi materiale; prediligere forme lineari e geometriche; sviluppare prototipi utilizzando le tecnologie moderne di produzione industriale, a disposizione nei laboratori; risparmio di tempi, costi e scarti; no aggiunte di decorazioni, le linee essenziali rendono già il lavoro bello; incessante sviluppo di nuove idee, nuove tecniche, nuovi materiali, nuovi metodi di produzione e nuove forme.
Sulla base delle linee guida, nelle officine gestite dai maestri artigiani, gli studenti erano stimolati ad sperimentare ed utilizzare i materiali più vari ed insoliti, come carta, gesso, legno, vetro, metalli, canne intrecciate, fili di ferro e anche tessuti.
La Bauhaus non escluse nessuna forma d’arte; i corsi trattavano dalla fotografia, al disegno, all’editoria, all’architettura e fino all’abbigliamento, con docenti del calibro di Wassily Kandinsky, Paul Klee, Feininger, Bayer, Breuer e Schlemmer, che contribuirono a rendere grande la scuola.
Nel manifesto originale veniva inoltre proclamata l’uguaglianza tra sessi, ma la realtà era molto diversa; le studentesse venivano direzionate unicamente ai laboratori di tessitura e ceramica, escludendole da tutti gli altri insegnamenti.
La tessitura veniva considerata tra le posizioni più basse dell’artigianato artistico, eppure per molti anni fu l’unico laboratorio che produsse profitti, sostenendo finanziariamente la scuola e gli altri corsi.
Nel 1922 nel laboratorio di tessitura arrivò Annie Albers, colei che diventerà tra le più grandi textile designer della storia, producendo un patrimonio tessile artistico dal valore inestimabile e ancora oggi ripreso dalle grandi case di moda.
La Albers, non potendo frequentare altri corsi, si concentrò sul telaio diventandone ben presto padrona.
Nei sui progetti sviluppò un’astrazione geometrica formidabile e un’attenzione particolare ai materiali e alle loro proprietà; sperimenterà con materiali sintetici come il cellophane, con fili di rame intrecciati, ma anche con materiali naturali come mais, canapa, iuta e erba.
L’incessante bisogno di sperimentare, le linee semplici e geometriche e i colori del Bauhaus, hanno reso il suo stile senza tempo, permettendogli di essere ancora presente in tutti gli attuali settori del design.
Per quanto riguarda il complesso mondo della moda, l’influenza Bauhaus ha dato vita ad abiti iconici indossati da performer come David Bowie, nel suo alter ego Ziggy Sturdust e Lady Gaga, ma forti rimandi al movimento si sono fatti vedere nelle collezioni di tanti stilisti.
Prada per la collezione Resort 2019 propose una linea di shopper, tote bag e bucket bags, realizzate partendo dalla destrutturazione di
un rettangolo e dalle linee essenziali. Le borse vennero progettate per essere rese comode e pratiche, con diverse tipologie di manici e con decorazioni sobrie e minimaliste come volevano i pionieri del Bauhaus. Già negli anni ’60, l’essenzialità del Bauhaus aveva dato ispirazione ad alcuni degli stilisti più in voga, come Yves Saint Laurent, Andrè Courrèges, Mary Quant e Jil Sander che, durante un’intervista nel 2017 con Suzy Menkers di Vogue, affermerà: “Le mie radici sono nel movimento Bauhaus, che applicava la razionalità funzionale al design della vita quotidiana”.
Il mondo della moda non si lascerà ispirare solamente dall’aspetto più estetico dei principi del Bauhaus, ma anche a metodologie di lavoro e sperimentazione. Nel 1965 lo stilista Yves Saint Laurent, riprenderà la contaminazione tra diverse forme d’arte, sostenuto dal movimento fin dalla sua nascita, per una delle sue collezioni più famose, la Collezione Mondrian. La collezione si ispirò al lavoro dell’artista Piet Mondrian, pioniere dell’arte astratta e grande sostenitore del Bauhaus, del quale Yves Saint Laurent dirà: “Mondrian è purezza e non si può andare oltre nella purezza della pittura. Questa è un tipo di purezza che si fonde con quella del Bauhaus”.
Nel caso dello stilista Hussein Chalayan la relazione tra le sue collezioni e la Bauhaus si manifesterà nell’approccio tecnologico, unito all’arte, utilizzato nella progettazione dei suoi particolarissimi abiti.
Un utilizzo differente dei principi Bauhaus, si può vedere nelle collezioni di Fendi (ispirata a Schlemmer) e Salvatore Ferragamo Autunno/ Inverno 2016-2017, dove entrambi gli stilisti stravolgeranno i colori del movimento. Nel Marzo del 2019, in occasione del centesimo anniversario del Bauhaus, tre stilisti raccontarono a Vogue le motivazioni che li spinsero a scegliere il movimento come fonte di ispirazione.
Roksanda Ilinčić la stilista di origini serbe, proprietaria dell’omino brand, parlò di come fin dalla sua prima collezione, il color blocking del Bauhaus ebbe una grande influenza sul suo lavoro.
“L’artista Josef Albers fa sempre parte delle mie mood board. Il suo utilizzo del colore mi ha sempre affascinata, specialmente
il modo in cui abbina colori che non avremmo mai pensato di accostare. È quella sperimentazione col colore, il modo di spingersi oltre ciò che è considerato armonioso e ciò che non lo è – è questo a cui aspiro” raccontò alla giornalista Emily Chan. Roksanda accennò anche all’architetto Mies Van Der Rohe, scoperto durante gli anni della formazione, dal quale riprese la fluidità e l’ariosità delle architetture, reinterpretandole in abiti panneggiati dai materiali morbidi. Emily Chan ebbe modo di intervistare Paul Smith, lo stilista britannico noto per i colorati motivi rigati.
Paul Smith si avvicinò al mondo dell’arte e della sartoria in seguito ad un incidente che gli costò la carriera nel ciclismo; è in questi anni che conobbe il Bauhaus.
Per la collezione Autunno/Inverno 2015 si ispirò al lavoro di Anni e Joseph Albers, analizzandone le opere tessili e ricreandole sui suoi abiti con un.
L’influenza del Bauhaus ha contaminato anche il suo metodo di lavoro, portando all’interno della sua azienda l’idea della collaborazione creativa e dello scambio di
idee, come avveniva negli anni ’20 all’interno della scuola.
La terza ed ultima stilista ad essere intervista fu Mary Katrantzou, la stilista Greca che ha esordito durante la London Fashion Week Autunno/Inverno del 2008.
Mary raccontò alla giornalista che osservando dei poster Bauhaus, si rese conto di aver già utilizzato i codici del movimento in collezioni passate. Riconobbe nella sua collezione del 2011, dove propose gonne-paralume, la stessa geometricità di alcune immagini Bauhaus.
Proprio dall’analisi dei poster, nacque poi la bellissima collezione dell’Autunno/Inverno 2018, dove il design grafico Bauhaus si unì al mondo della moda attraverso la maglieria. La stilista ha fatto suo uno dei concetti chiave della scuola, inserendo all’interno del suo percorso creativo un equilibrio tra creatività e mercato, senza dimenticare la funzionalità e cercando di richiamare negli abiti i tempi in cui viviamo.
Ad un secolo di distanza dalla sua nascita, lo sconvolgimento creativo del Bauhaus continua a regalare l’immaginario di un futuro senza tempo e spazio, poiché richiama alla mente un’essenzialità così pura da non poter mai invecchiare.
Le reinterpretazioni di Yamamoto per David Bowie
Testimonial per eccellenza di come l’estetica Bauhaus si insinui nel mondo della moda è l’indimenticabile David Bowie, che con il suo magnetismo preformava sul palco indossando gli abiti di Kansai Yamamoto. Yamamoto e Bowie si incontrarono nel 1971 alla sfilata di esordio dello stilista e tra i due nacque un’intesa artistica immediata. In quel periodo David Bowie era alla ricerca di outfit che potessero esprimere la sua esuberante personalità, gli abiti di Yamamoto erano appariscenti, eccentrici ed insoliti per l’Europa degli anni ’70 e rappresentavano in pieno la voglia di distinguersi del cantante. Kansai si lasciava ispirare dall’estetica tradizionale del suo paese d’origine, il Giappone, inserendo nelle sue creazioni varie iconografie giapponesi, disegni di lottatori di sumo, draghi, abiti dei samurai e maschere Kabuki.
Così come Bowie restò affascinato dagli abiti di Kansai, il giovane stilista rimase colpito dal performer, descrivendolo così durante un’intervista: “Ha una faccia insolita, non credi? Non sembra né uomo né donna. Capisci cosa intendo? Come stilista rappresenta il mio ideale, perché la maggior parte dei miei vestiti sono per entrambi i sessi. Amo la sua musica e ovviamente questo ha influenzato i miei progetti ma, soprattutto c’è un’aura di fantasia che lo circonda. Ha fascino”
Lo stile androgino utilizzato da Bowie non era solamente un mezzo per sconvolgere ma, faceva parte della tradizione Kabuki degli attori Onnagata, cioè attori uomini che interpretano anche i ruoli femminili. Insieme Yamamoto e Bowie abbatterono i confini di genere e unirono in uno stesso stile la tradizionalista cultura Orientale con lo stile Occidentale.
La cultura giapponese però non è stata l’unica fonte di ispirazione per Kansai, infatti la sua passione per lo spettacolo lo portò a prendere spunto da una performance creata da un’artista della scuola del Bauhaus: il Balletto Triadico di Oskar Schlemmer.
Oskar Schlemmer fu uno dei più importanti esponenti della scuola del Bauhaus, lavorando nei campi della pittura, della scultura, della scenografia e della coreografia.
Con il Balletto Triadico, Schlemmer lavorò sulla forma umana in relazione allo spazio e al movimento, semplificandone le fattezze, in geometrie.
I ballerini indossavano enormi e rigidi costumi geometrici che, ridefinivano e ampliavano le loro fisicità e ne alterano i movimenti durante la danza.
I costumi erano composti da sfere, poliedri, strutture circolari, gabbie, reticoli di fili e imbottiture, ed erano realizzati in materiali come legno, stoffe, metalli, cartapesta e gomma piuma.
L’arte Bauhaus di Schlemmer, così spettacolare ed avanguardista, si accostava perfettamente all’immaginario di Yamamoto e Bowie, una creazione ne è l’esempio più lampante: la Tokyo Pop Suit.
La tuta venne realizzata in occasione dell’Aladdin Sane Tour del 1973 e pensata per consentire dei rapidi cambi di costume direttamente sul palco, tramite dei bottoni a pressione applicati sui lati, ricreando un tipico effetto del teatro kabuki.
La silhouette imponente ha un richiamo immediato agli abiti del balletto Bauhaus, infatti come nei costumi di Schlemmer, la struttura rigida, nasconde e ridisegna la figura del corpo in una forma geometrica, inoltre la dimensione e la rigidità del capo impongono alla figura di assumere pose plastiche, bloccando la naturalezza dei movimenti del corpo.
I volumi vennero concentrati tutti sulle gambe, progettando la parte del pantalone con la forme di due semisfere che andavano ad unirsi nella parte del busto, mantenuta meno voluminosa.
La tuta è stata poi decorata con cuciture bianche, in contrasto con il nero della base, per creare un motivo optical molto dinamico che, accompagnasse ed enfatizzasse tutta la forma del capo.
Lo stilista scelse di utilizzare il vinile, materiale da lui molto amato e di grande impatti visivo, che consente di realizzare abiti dalle forme scultoree, abbinato ad una fodera in raso rosso.
Anche nei colori troviamo il doppio rimando alla scuola Bauhaus e alla tradizione giapponese.
L’arte Bauhaus era incentrata specialmente su una gamma di colori che comprendeva i colori primari (rosso, giallo e blu) più bianco e nero, che conferivano alle opere contrasti grafici, forti e taglienti; allo stesso modo, nell’arte giapponese, ritroviamo una predominanza di rosso, bianco e nero che generano un impatto visivo altrettanto forte.
Sempre in occasione dell’Aladdin Sane Tour, Yamamoto realizzò altri capi altri capi lasciandosi ispirare dal Bauhaus, nello specifico: un cappotto, due tute in maglia aderentissime e la Space Samurai Jumpsuit. Il cappotto molto ampio, lungo fino al ginocchio, dalla forma scampanata sia nel busto che nelle maniche, era decorato da un motivo a zig-zag rosso che, separava la parte superiore bianca, da quella inferiore blu. Al motivo geometrico, richiamante l’arte della scuola tedesca, era stato aggiunto un tocco nipponico, ricamandoci sopra due tigri nello stile dell’iconografia giapponese.
Per quanto riguarda le tute in maglieria, personalmente ho rivisto del lavoro di Kansai, un rimando all’arte tessile di Annie Albers. Il primo capo era composto da una tutina corta, con collo alto e scollo all’americana e da maniche e gambe a tubolare, staccate dal resto capo, mentre l’altra tuta era monospalla a destra e monogamba a sinistra.
I due tessuti a maglia erano stati progettati con complicatissimi intrighi di righe e disegni geometrici, di nuovi dai forti contrasti cromatici. Guardando le opere tessili dell’artista Annie Albers, ho notato alcune similitudini negli elementi geometrici, con il lavoro di Yamamoto, seppur reinterpretate secondo la sua estetica.
L’ultimo capo, la Space Samurai Jumpsuit, ricorda per costruzione la Tokyo pop, infatti anche in questo caso erano stati applicati bottoni automatici per essere rimossa velocemente durante l’esibizione.
Nella Space Samurai jumpsuit troviamo nuovamente un grande volume geometrico sulle gambe riconducibile al concetto di Schlemmer e allo stesso tempo ai pantaloni hakama di alcune divise indossate dai samurai.
La tuta venne realizzata con un tessuto dall’effetto metallizzato, nei colori rosso, nero e blu e trapuntato a formare un disegno geometrico triangolare che accompagnava la silhouette del capo.
Nelle reinterpretazioni per gli abiti di David Bowie, Yamamoto ha saputo fondere insieme, una forte sensibilità verso la tradizione del suo paese di origine, con lo stile della scuola Bauhaus, fondata ben cinquant’anni prima del suo esordio nella moda.
Grazie a questa visione avanguardista, Kansai ha dato vita a creazioni iconiche e tutt’oggi fonte di ispirazione per innumerevoli stilisti.
David Bowie indossa la famosa Tokyo Pop Suit progettata da Kansai Yamamoto per l’Aladdin Sane Tour del 1973
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Chi è Kansai Yamamoto
Nel 1944, in Giappone, nasce Kansai Yamamoto, indimenticabile ed iconico stilista che stravolgerà la moda degli anni ’70 e ’80 con la sua estetica giapponese.
Kansai iniziò il suo percorso di studi in ambiti totalmente diversi da quello della moda, diplomandosi come ingegnere civile e laureandosi in inglese all’Università di Nihon. Nel 1965 inizia il suo viaggio nel mondo del fashion affiancato dai designer Junko Koshino e Hisashi Hosono, che si occuperanno della sua formazione artistica; dopo appena due anni riceverà il premio Soen dal Bunka Fashion College.
La sfilata di esordio si tenne a Londra nel 1971, regalandogli il titolo di primo stilista giapponese a sfilare in Europa, anticipando di un decennio i più celebrati colleghi Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo.
Alla sfilata parteciparono personalità del calibro di Stevie Wonder, Elton John e David Bowie, spinti dalla curiosità verso questo stile così diverso dai canoni europei del periodo. Sfacciato, audace e dai colori sgargianti, il suo stile era un perfetto connubio tra le tradizioni giapponesi, come le maschere del teatro Kabuki e una fortissima modernità.
Per le sue collezioni si ispirava inoltre al concetto di Basara, termine coniato in Giappone in tempi antichi per indicare un particolare stile di vita anticonformista, libero ed eccentrico, diventandone atutti gli effetti il pioniere contemporaneo.
Nello stesso anno, aprì il suo primo atelier Kansai Yamamoto Company e comparì sulla copertina della rivista Harpers & Queen con il titolo “Explosion From Tokyo”, sancendo definitivamente una contaminazione orientale nelle sfilate europee.
“L’esplosione da Tokyo” si propagò fino agli Stati Uniti, dove i suoi abiti vennero selezionati da Hess’s in Allentown, un grande magazzino all’epoca noto per organizzare sfilate molto particolari, scegliendo designer dallo stile talmente forte da poter influenzare il mercato del fashion.
Fin dalla sfilata di esordio, Kansai e David Bowie rimasero totalmente affascinati l’uno dallo stile dell’altro, dando inizio alla collaborazione che li consacrerà come icone di stile.
Per Bowie creò una serie di abiti per il personaggio Ziggy Stardust, l’alieno androgino dai capelli rossi creato dal cantante, ispirandosi a una leggenda giapponese che raccontava il legame tra una divinità e un coniglio bianco.
“Ho trovato l’estetica e l’interesse di David nel trascendere i confini di genere incredibilmente belli”, racconterà lo stilista al sito web The Cut nel 2018, ricordando la collaborazione con Bowie.
Realizzò tutti i costumi indossati da Ziggy per il tour “Aladdin Sane”, tra i quali la tuta Tokyo Pop, che verrà nuovamente portata dal cantante nel 1989 per un servizio fotografico di Herb Ritts.
Nel 1972, Yamamoto ribaltò i canoni di bellezza occidentale che, spadroneggiavano sul mondo della moda, al punto che nemmeno i brand giapponesi proponevano modelli e modelle nipponici.
Fa arrivare dal Giappone la sua musa Sayoko Yamaguchi, facendo così sfilare, per la prima volta in Europa, una modella giapponese, incrementando la diffusione dell’estetica orientale.
È grazie a lui se i brand giapponesi iniziarono a promuovere la bellezza dei loro tratti somatici, come Shiseido che, fino al 1973 quando firmò il contratto con Sayoko Yamaguchi, sceglieva per le sue campagne pubblicitarie modelli occidentali.
Il suo amore per la spettacolarità era già evidente nella perfetta fusione tra lui e David Bowie, ma si consolidò negli anni ’90 quando, abbandonò la moda per mancanza di ispirazione, dedicandosi completamente all’arte dello “show”.
Nel 1992 salutò il mondo della moda con la sua ultima collezione Fall/Winter, caraterizzata da giochi optical bianchi e neri, tessuti cangianti, plastiche, vinili, stampe in prospettiva, e la sua immancabile tradizione giapponese.
Iniziò a produrre in tutto il mondo, una serie di eventi chiamati “Super Show”, dove unirà danza, moda, musica e acrobazie a festival e tradizioni giapponesi; il primo Super Show, nella Piazza Rossa di Mosca nel 1993, venne seguito da un pubblico di 120.000 persone.
Nel 1999 farà una piccola incursione nella moda insieme alla designer Junko Koshino, sua mentore all’inizio della carriera, creando una versione moderna del kimono tradizionale giapponese, la quale origine risale a circa 1300 anni fa, rimarcando di nuovo l’importanza verso il recupero e la rielaborazione delle tradizioni.
Durante il primo decennio degli anni 2000, vennero allestite due grandi mostre sul lavoro di Kansai Yamamoto: “Passionate Exhibit: The Energy Principle of Kansai” presso il Museo Edo-Tokyo e “Hello! Fashion Kansai Yamamoto” una retrospettiva presso il Philadelphia Museum of Art, dove vennero esposti alcuni dei suoi abiti.
Nel 2010 si confronterà anche con un altro ramo del design, progettando il modernissimo treno Skyliner, che da allora collega l’aeroporto giapponese di Narita con il centro di Tokyo.A luglio del 2013, Kansai torna far parlare di sé nel settore moda con due sfilate, una al New Britain Mask Festibal a Kokopo, in Papua Nuova Guinea e una a Tokyo. Nello stesso anno, la cantante Lady Gaga, durante un soggiorno in Giappone comparirà indossando abiti di Yamamoto, definendolo tramite i suoi canali social un genio. Qualche anno più tardi, nel 2018, Kansai collabora con Nicolas Ghesquière per Louis Vuitton alla collezione LV Resort 2018, ispirata all’arte giapponese e alle stampe Kabuki che vennero tradotte in abiti di paillettes. Kansai Yamamoto è deceduto nell’estate del 2020 a causa di una malattia, lasciando alle nuove generazioni di creativi un’eredità dal valore inestimabile.
Attraverso il suo lavoro Yamamoto ci ha insegnato ad elevare le proprie origini, recuperando e immergendosi nelle tradizioni e rielaborandole in chiave contemporanea.