Un viaggio meraviglioso tra le Terre Incantate italiane
Sapersi perdere è una forma d’arte, e fra una via conosciuta ed una sconosciuta se posso scelgo l’avventura. C’è chi predilige perdersi in luoghi esotici, chi ama i paesi politicamente instabili, chi le lamasserie tibetane e poi ci sono io, che cautamente mi sono perso nelle vallate piacentine. Anzi, sarebbe meglio dire immerso, perché entrare i queste valli equivale ad immergersi in un altro mondo.
Terre fatte di praterie e filari d’uva, colline dolcemente aspre che rilevano, nel loro serpeggiare, paesaggi selvaggi e incantati, fra boschi e torrenti, piccoli borghi fuori dal tempo e castelli millenari.
“Vi fu sempre nel mondo assai più di quanto gli uomini potessero vedere quando andavano lenti, figuriamoci se lo potranno vedere andando veloci” (John Ruskin).
Per questo motivo lascio a casa la fretta, una pessima compagna di viaggio, e mi lascio guidare da Alessandro, da sempre appassionato di queste terre incantate dove la sua famiglia risiede da settecento anni.
Una premessa doverosa: questo non è un itinerario esaustivo delle vallate piacentine, ma una semplice passeggiata fra la Val Nure e la Val Trebbia in compagnia di un buon amico.
La Val Nure è una terra antica che intreccia la sua storia a quelle delle grandi casate piacentine. La prova evidente è il susseguirsi ininterrotto di rocche, castelli e ville di campagna che tratteggiano il territorio.
Iniziamo da San Giorgio Piacentino che, adagiato lungo il torrente Nure, rappresenta la “porta” della valle.
Uno dei simboli di San Giorgio è la Rocca, che fu costruita alla fine del Cinquecento da Jacopo Barozzi da Vignola (anche artefice dello spettacolare Palazzo Farnese di Caprarola) per conto di una delle più antiche e potenti famiglie di Piacenza: gli Anguissola.
Nel 1637 passa ai marchesi Scotti di Castelbosco che la trasformano in una residenza estiva, circondandola di un vasto parco popolato da daini e cervi.
A metà dell’Ottocento la proprietà passa per via matrimoniale ai conti Gazzola di Settima, che oggi la conservano con grande cura e dedizione.
Bella lo è davvero. Le dimensioni raccolte permettono di coglierne l’eleganza in un solo colpo d’occhio. Il parco, molto curato, trasmette l’idea di un oasi di serenità.
Se il centro della cittadina è dominato dal Castello di San Giorgio, le cui origini affondano a prima dell’anno Mille, le frazioni sono una costellazione di manieri: i castelli di Montanaro, Ronco, Rizzolo, Tollara, Viustino e San Damiano.
Passati nel corso dei secoli da una famiglia all’altra della nobiltà piacentina sono tutti privati e ben visibili dalle strade di campagna. Circondati da campi e vigneti trasmettono bene il senso della storia secolare di questi luoghi.
Attraversato il torrente Nure verso sud andiamo a Grazzano Visconti.
Proseguendo arriviamo a Ponte dell’Olio. Proprio come San Giorgio Piacentino anche questo borgo è circondato da una cortina di manieri: Folignano, Fratta, Torrano, Montesanto e Riva.
Alessandro mi conferma l’idea che mi sono fatto riguardo a queste fortezze: durante il Medioevo le casate piacentine erano rivali fra loro, in lotta per espandere la propria influenza sul territorio a discapito della città di Piacenza: Pallavicino, Anguissola e Scotti erano le famiglie più influenti.
L’arrivo dei Visconti prima e degli Sforza poi stemprò queste lotte, che ripresero alla metà del Cinquecento con l’arrivo da Roma dei nuovi signori: i Farnese.
Nel 1547 Pier Luigi Farnese, figlio naturale di Papa Paolo III e primo Duca di Parma e Piacenza per volere paterno, fu pugnalato al culmine di una congiura che vedeva coinvolti Anguissola, Scotti, Pallavicino e Landi, con l’appoggio di Ferrante Gonzaga, Governatore di Milano.
Seguono anni di lotte fra i nipoti di Papa Paolo III e la nobiltà locale, che accettò il governo dei nuovi duchi solo alla fine del Cinquecento.
Fra i vari castelli di Ponte dell’Olio personalmente trovo molto affascinate quello di Riva, ben visibile a sud della cittadina, disteso lungo il corso del Nure.
L’aspetto tardogotico è frutto dei restauri voluti alla fine dell’Ottocento dal principe romano Emanuele Ruspoli, ma il maniero fu edificato alla fine dell’Undicesimo secolo dalla famiglia Anguissola, che ne fece un fulcro di potere della valle.
Dal 2007 è residenza dello scrittore Sebastiano Grasso, critico del Corriere della Sera, che dopo averlo restaurato ha scelto di trasferirvi la sua ricchissima biblioteca personale, con l’obiettivo di renderla accessibile al pubblico.
Al centro della cittadina troviamo tracce di un passato più recente: si tratta della “Fornace di Ponte dell’Olio”. È un bell’esempio di archeologia industriale, edificata a partire dal 1890. Magistralmente restaurata, oggi ospita attività culturali.
Lasciato il maniero di Riva proseguiamo verso Lugherzano. Si risale lentamente in collina, passando fra campi coltivati e praterie, fino al piccolo e suggestivo Castello di Spettine, che sorge sul lato sinistro della vallata e lo domina con il suo aspetto imponente e misterioso, circondato da boschi e affacciato su un burrone.
La data di costruzione è incerta, ma secondo Alessandro risale al Mille o giù di lì. Nel Duecento è di proprietà della famiglia da cui prende il nome: i Da Spettine. Seguono poi nei secoli gli Anguissola, i Visconti, gli Sforza, i Farnese e di nuovo gli Anguissola. Poi l’abbandono e la rovina, e della metà del Seicento non viene più nominato negli annali storici locali.
Al pianterreno ospita la Sala del Tribunale, e si narra che non poche persone vi furono giudicate. Rimangono evidenti resti del carcere maschile e femminile: segni palesi di un passato piuttosto burrascoso.
Leggenda vuole che sia infestato e che di notte sia meglio non sostare nei suoi paraggi.
Nonostante le leggende sovrannaturali alcuni anni fa è stato acquistato da privati, che con grande passione hanno deciso di trasformarlo in una tenuta, intenzionati a trovare un equilibrio fra le tradizioni antiche ed il futuro.
Proseguiamo per Chiulano. La strada ritorna in salita ma non si tratta di ripidi tornanti, è piuttosto un inerpicarsi lento e suggestivo, e ci muoviamo sospesi fra il blu del cielo e le mille sfumature dei prati.
Il panorama regala una vista spettacolare sulle colline e le montagne che separano la Val Nure dalla Val Trebbia. Di tanto in tanto appare un casale immerso nei prati, e mentre passiamo per piccoli borghi intravedo chiesette che spuntano semi nascoste dai crinali.
Superato Chiulano proseguiamo per Fellino e Quadrelli. Si respira un’aria fresca e rilassata, che ci invita a viaggiare senza l’urgenza di dover raggiungere la meta.
Se una persona ha talento puoi chiederle la cosa più banale del mondo e ti risponderà sempre in modo brillante e profondo.
In questo caso la mia domanda ad Alessandro è: “Cosa significa vivere in queste terre?”. La risposta arriva dopo un paio di curve.
“…considero queste valli uno dei luoghi più belli che esistano in Italia. Posso sembrarti di parte ma, fidati, non lo sono. Non esiste un insieme così armonico di paesaggi, natura, storia e cultura enogastronomica in tutta la Penisola. Come vedi c’è pochissimo turismo, e per quanto possa sembrare un difetto in realtà è proprio questa assenza a mantenere il territorio così bello e suggestivo. Prova ad immaginarlo costellato di alberghi, castelli trasformati in resort e frotte di vacanzieri che sciamano da una valle all’altra: si rischierebbe di cancellare quanto creato dalla natura e dall’uomo in secoli di armoniosa convivenza.
Inoltre ho un legate doppiamente affettivo con queste terre. Come sai, alla metà del Trecento, un ramo della mia casata arrivò da Milano al seguito dei Visconti. Giovanni Casati fu podestà di Piacenza nel 1350 e la sua famiglia si stabilì in questi luoghi.
Pur non avendo mai abbandonato i legami con Milano siamo cresciuti qui. Quando giro per queste valli vedo ovunque frammenti di storia della mia famiglia.
L’altro motivo che mi lega alle terre piacentine è mia moglie Camilla, i cui nonni rivoluzionarono l’industria conserviera, e l’economia piacentina, esportando pomodori in tutto il mondo. Camilla, insieme a queste terre, è la mia oasi di pace in una vita che spesso mi obbliga a correre a velocità folle”.
Ora stiamo costeggiando il Trebbia, oltrepassato Colombarola sulla sommità di un piccolo colle appare il Castello di Montechiaro.
E’ uno dei più interessanti e singolari manieri del piacentino, la cui struttura si discosta da quella tradizionale, adattandosi alla forma dell’altura, con una solitaria torre posta nel mezzo del cortile.
Probabilmente edificato dalla famiglia Malaspina alla metà del Dodicesimo secolo, nel 1324 viene acquistato dagli Anguissola che lo terranno per i successivi trecento anni.
Nel 1652 viene ceduto in precarie condizioni alla famiglia Morando che lo restaura senza snaturarne il suo aspetto difensivo. Nel 1841 passa per vie ereditarie ai marchesi Casati Rollieri. Con loro Montechiaro si trasforma in una raffinata residenza signorile circondata da una fiorente tenuta vinicola.
Qui io e Alessandro ci separiamo, lo ringrazio per il tempo che mi ha dedicato e proseguo in queste terre incantate, che mi riservano un’altra piacevole e golosa sorpresa: l’Azienda Vitivinicola Barattieri ad Albarola.
Originaria di Venezia, la famiglia Barattieri arriva in queste terre a metà del Quattrocento. Nel 1678 il Duca Ranuccio II Farnese gli conferisce il titolo di conti.
La famiglia si è occupata per secoli della gestione dei terreni, fino agli anni ’70, quando il Conte Otto Barattieri imprime un cambio di passo, orientandola principalmente alla gestione vinicola, che prosegue tutt’ora.
La bellezza dell’antica cantina ipogea si bilancia alla perfezione con lo spettacolo offerto dalla cucina. Del resto se Forbes ha definito la tradizione culinaria emiliana “il più grande tesoro d’Italia” un motivo ci sarà.
Nella cucina della tenuta regna da quindici anni la Signora Francesca, e sotto il suo occhio attento e benevolo è un piacere imparare a stendere gli impasti e realizzare sughi e ripieni per anolini e tortelli (e sappiate che chiuderli è un’arte che richiede grande pazienza).
Si chiude qui questa breve incursione nelle valli piacentine che, al pari di un piacere perfetto, è durata poco e mi ha lasciato insoddisfatto, poiché il desiderio di tornare è fortissimo.
Nel 1945 Ernest Hemingway, corrispondente di guerra al seguito degli Alleati, scrisse “Oggi ho attraversato la valle più bella mondo”: parlava della Val Trebbia.
Se uno scrittore del suo calibro, dopo aver girato mezzo mondo, si lasciò andare ad una simile esclamazione credo valga la pena approfondire, e visto che mi è rimasta una voglia fortissima di tornare la prossima meta sarà proprio la Val Trebbia.
In copertina, le suggestioni della Val Nure.
Qui i link ai siti dedicati alla Val Nure ed alle terre piacentine: